martedì 20 novembre 2012


3. Hogwarts

Fu come essere risucchiati da un aspirapolvere gigante che inghiottiva i colori, faceva allungare gli oggetti e poi aveva trascinato tutti nel buio più totale.
Caddero con un tonfo su un suolo umidiccio e rimasero in silenzio qualche istante, attendendo di riprendersi dallo spavento dei minuti precedenti.
«Vi scongiuro: ditemi che non sono stata sdraiata vicino all’erba!» piagnucolò Federica alzandosi di corsa e cominciando a saltellare.
«Non ci credo che la prima cosa che sei riuscita a pensare è che potrebbero esserci serp…» cominciò Caterina prima di essere interrotta a metà parola dalla gemella Donati che la invitava a fare silenzio.
«Non ripetere quel nome! CHE SCHIFO!» gridò muovendosi come se davvero avesse un animale addosso.
« La prima cosa che ho pensato io è che spero che il prato non vada a fuoco altrimenti un Liopleurodonte ci viene a chiedere venti euro!» rise Caterina, riferendosi al dinosauro di Charlie: un video che aveva guardato su youtube.
«What the fuck?!» disse Maurizio alzando un sopracciglio, scettico.
«Ma sei cretina? Tu batti i piedi e passa la paura» fece Cristina guardandosi attorno.
Così come le era stato detto, Federica cominciò a pigiare con più forza i piedi per terra dopo ogni salto poi si avvicinò al fratello e gli si aggrappò al collo.
«Ti prego portami in braccio» bisbiglio nel panico. Maurizio sbuffò sciolse l’abbraccio della sorella per poi tenderle semplicemente la mano.
«In braccio no. Accontentati» fece poi. Una smorfia si dipinse sul suo volto dopo che Federica gliela ebbe stretta convulsamente nella sua.
«Secondo voi dove siamo?» chiese Andrea.
«A Castel Fusano. Lo so perché qui venivo a giocare a Guerra Simulata» raccontò Giulia.
«Secondo me è la pineta di Ostia» disse Caterina.
«Non dire cretinate! Questi non sono pini Marittimi!» esclamò Federica, continuando ad avvicinarsi a Maurizio.
«Io vorrei sapere come ci siamo finiti qui, più che altro» si intromise Cristina avvicinandosi a Giulia e stringendole un polso per evitare che saltellasse in giro e sparisse dalla visuale.
«Non lo so…» pigolò Andrea, confuso.
«GUARDA!» gridò Giulia indicando un punto al di là degli alberi. «Visto che ho ragione io?! Siamo a Castel Fusano infatti lì c’è un tizio travestito da centauro! CIAO» gli altri cinque si voltarono subito a scrutare i cespugli in lontananza fino a cogliere anche loro la sagoma di un essere metà uomo e metà cavallo.
«A me sembra fin troppo realistico» commentò Andrea.
«No… è sicuramente un’impressione» fece Maurizio, palesemente incapace di nascondere un po’ di paura.
«Chiunque sia non è uno che vorrei avere come compagno di classe!» disse Cristina.
«Tu non vorresti avere nessuno come compagno di classe» le ricordò Federica.
«Io odio i centauri.» aggiunse l’altra.
«Ci tira una freccia» fece presente Giulia senza smettere di fissarlo.
Proprio in quell’istante qualcosa si schiantò contro la terra a qualche passo da loro e, dopo un gemito di spavento collettivo e un passo in dietro, ebbero la conferma di ciò che aveva detto Giulia.
«Ma è matto?» si arrabbiò Cristina, pronta ad andare a digliene quattro.
«Vengo con te! Ma chi è questo cretino?!» si spazientì anche Federica, dimenticando per qualche istante la possibilità di incontrare un serpente lungo la strada.
«Buone tutte e due!» le fermò Andrea, tirando Cristina per la maglia mentre Maurizio continuava a stringere la mano della sorella.
«Tanto viene lui» disse Giulia, ridacchiando.
L’uomo-centauro batté un piede a terra qualche volta, alzando la polvere attorno a lui poi parve prendere la rincorsa e cominciare a galoppare verso di loro scoccando un’altra freccia.
«Merda» imprecò Cristina.
«Correte!» gridò invece Andrea tirando Giulia per un braccio.
Cominciarono a correre trascinandosi a vicenda, evitando le frecce e cercando di non farsi recuperare dal centauro che gli era alle calcagna.
«Sbrigati!» gridò Maurizio tirando con più forza il braccio della sorella.
«Non… ce… la faccio… più…» biascicò Federica col fiatone, rallentando man mano che palava.
«Non è il momento! Ti riposi dopo» insisté lui.
«FEDERICA C’È UN SERPENTE DIETRO DI TE!» urlò Cristina correndo poco più avanti dei due fratelli.
«CHE SCHIFO!» gridò a sua volta Federica accelerando il passo e piagnucolando imprecazioni e insulti ad un animale che in realtà non c’era. «Non voglio morire così! Non voglio che mi tocca quel coso schifoso e viscido!» si lamentò quasi piangendo e facendo strani movimenti.
«L… Luce! » la interruppe Caterina, anche lei col fiato corto, intenta ad indicare una zona più luminosa al di là delle file di alberi.
Man mano che si avvicinavano la luce diventava più chiara, cominciarono a pigiare i piedi sull’erba e non più sul terriccio fino a ritrovarsi in uno spiazzo verde sul quale si imponeva un pesante castello antico.
I sei ragazzi rallentarono quasi in contemporanea.
«Non. Ci. Credo!» disse Maurizio bloccando per un braccio la sorella che continuava a correre. «Non c’è nessun serpente, Fede» le disse poi, continuando a fissare l’inverosimile panorama davanti ai loro occhi.
«Mio Dio! Hogwarts?» gridò Federica sbarrando gli occhi dimenticando l’insulto per Cristina e il fratello che le era poggiato sulla punta della lingua.
«Hog-che?» domandò Andrea.
«Porca…» cominciò Cristina.
«C’È DRACO?!» gridò Caterina, emozionata.
«NO! Ci deve essere Sirius» disse Federica.
«Riveliamogli un segreto: la Terra gira intorno al Sole!» fece Giulia scoppiando a ridere.
«Lo sanno,Giulia» disse Maurizio.
«Esseri umani» dichiarò Andrea indicando una ragazza dai lunghi capelli biondi e con un cerchietto nero  accompagnata da due ragazzi più alti di lei uno altrettanto biondo e uno…
«Ma di che colore sono i capelli del tizio al centro?» chiese poi.
«Daltonico! Terra di Siena naturale» disse Cristina, osservandoli scettica.
Nel giro di qualche secondo i tre sconosciuti erano di fronte a loro.
«Who are you?» disse la ragazza bionda.
«Oh merda…» imprecò Federica, incapace in inglese, seguita da un gemito collettivo..
«Bene… Ultima verifica d’inglese: quanto avete preso?» chiese Cristina, a mo’ di conta.
«3!» rispose Andrea;
«3 e mezzo» Giulia;
«4» Federica;
«5» Maurizio;
«5+» Cristina;
«5 e mezzo!» Caterina.
«Tutti tuoi!» risposero in coro gli altri.
«Hem… Bene.. We speak only italian» cominciò Caterina gridando come se avesse avuto a che fare con persone sorde e non straniere.
«Ok…» commentò il ragazzo biondo.
«My name is Caroline Webb and they are Holy Angel and…»
«Sì, sì, non mi interessa! Conosci Draco Malfoy? Do you know Draco Malfoy?» la interruppe Caterina.
«Ma no! Sirius Black! Do you know it?» si intromise Federica.
«Him, Fede…» la corresse Maurizio con aria disperata.
«What? The notorious, murderer Sirius Black? Are you crazy?» disse Caroline, improvvisamente agitata.
«Questa prende le botte!» si scaldò la ragazza prima di essere fermata da Maurizio.
«Cate, chiedigli in che anno siamo» propose Andrea.
«Sì. What time is it?» chiese Caterina.
« Is a quarter to five p.m.» rispose Holy Angel.
«Oddio!» fece Andrea.
«SHE MEANS THE YEAR!» gridò Cristina.
«Oh! We are in 1988» disse il ragazzo con I capelli Terra di Siena che non si era ancora presentato.
«Posso fare il vampiro? Quanti punti esperienza mi date? E l’armata Turca?» domandò Giulia, emozionata.
«Non sei a Guerra Simulata» le ricordò gentilmente Andrea.
«Voi non sapete cosa sto provando…» disse Federica, triste.
«Io ti capisco» piagnucolò Caterina.
«NON C’È SIRIUS!»
«NON C’È DRACO!»
Le due frasi partirono nello stesso istante e le due ragazze si abbracciarono sotto lo guardo stupito degli amici e dei tre maghi.
«If you follow me I’ll take you in the castle» disse Caroline, cordiale.
«Cos’ha detto?» chiese Federica.
«E dove vanno?» aggiunse Andrea.
«Ci portano dentro» tradusse Cristina.

Buon giorno :)
Scritto oggi durante l'autogestione ^^ Spero vi sia piaciuto :D
Baci,
Win

lunedì 19 novembre 2012



2. Una chiamata

12 ore prima
Una giornata qualunque, esattamente uguale a quella precedente e quasi sicuramente anche alla successiva.
Maurizio Donati, sul pianerottolo di fronte al portone di casa sua, continuava a pigiare con forza il pulsante dell’ascensore, sbuffando e battendo ritmicamente il piede per terra.
«Federica, ti muovi?!» chiamò a voce alta incurante del fatto che fossero appena le sette e cinquantacinque di mattina.
Sua sorella, come al solito, era rimasta mezz’ora nel letto a stiracchiarsi e cambiare posizione come se avesse voluto riprendere il sonno, un quarto d’ora a fare colazione guardando la televisione e i restanti dieci minuti ad imprecare su quanto fosse in ritardo: tipico di lei!
«Eccomi» disse la ragazza saltellando su un piede verso il fratello, intenta ad allacciarsi una scarpa.
«Buon Dio! Sono stivali, non vanno allacciati!» le fece presente il fratello gemello, palesemente infastidito.
Come tutte le mattine fu loro padre ad accompagnarli a scuola e a far in modo che,miracolosamente, arrivassero più o meno puntuali.
Una volta davanti al cancello di scuola, i due fratelli Donati si avviarono verso l’ingresso camminando l’uno affianco all’altro e voltandosi contemporaneamente quando una voce femminile strillò il loro nome, dietro di loro.
«Buon girono!» gridò Giulia Conti, una loro amica, inciampando su i suoi piedi e ruzzolando a terra per corrergli in contro.
«Giulia, ti sei fatta male?» gridarono in coro i due avvicinandosi frettolosamente a lei per assicurarsi che stesse bene.
«Ma che diamine ti corri?!» domandò retorica Cristina Falessi imprecando poco finemente.
«Tutto bene?» domandò Maurizio.
Il corpo quasi esanime della ragazza parve far un leggero scatto e i suoi occhi dietro le lenti scure degli occhiali da sole si aprirono istantaneamente.
«Ovvio! Ti pare?» fece allegra, facendosi aiutare dalle altre due amiche ad alzarsi.
«’Giorno» salutò Andrea Dagneli, raggiungendoli.
«CIAO MICHI! CIAMO CAMILLA! ’Giorno Dagnè» disse Giulia, sbracciandosi per attirare l’attenzione di coloro che salutava.
«La pianti di chiamarmi per cognome?!» si lamentò Andrea.
Quando la campanella suonò i cinque ragazzi si avviarono verso la loro aula chiacchierando del più e del meno.
«Volete sapere che è successo ieri mentre io e Giulia aspettavamo l’autobus alla fermata?» disse Cristina attirando l’attenzione degli altri mentre la suddetta Giulia correva avanti per prendere posti in aula.
«Racconta» la incitò Federica, impaziente.
«Stavamo parlando quando è arrivato un ragazzo che ci guarda e dice: “Giulia ma non mi saluti?”. Lei lo fissa per un sacco di tempo e poi conclude dicendo: “Se ti conoscessi ti saluterei!”» risero.
«Ma alla fine chi era?» domandò Maurizio.
«Era un amico di Fabio, l’ex suo, con il quale giocava sempre alla play station» rispose Cristina.
«Uno che non aveva mai visto, insomma» ridacchiò Andrea.
Arrivati in aula 19 sistemarono le borse accanto a quella di Giulia e tornarono a parlare fra di loro, nell’attesa dell’arrivo del professore.
L’aula era lunga e spaziosa con i banchi a U  e statue e bassorilievi posizionati lungo tutto il perimetro al di fuori delle finestre. I banchi occupati da Giulia erano quelli sulla fila destra, dove si sedevano sempre loro.
Circa quaranta minuti dopo l’inizio della lezione arrivò una ragazza correndo: Caterina Brunetti.
«Non è ancora arrivato?» domandò guardando dentro l’aula. Fu Federica, accanto al termosifone assieme ad altre compagne di classe, a risponderle che no, non c’era ancora.
«Che fortuna!»
La osservò meglio: cappello verde scuro, ombretto viola, sciarpa giallo ocra, cappotto rosso e zaino fucsia in spalla.
«Ma cosa c’entra l’ombretto viola?» domandò Federica, evitando di menzionare anche tutti gli altri colori che non capiva a cosa avesse abbinato.
«Ai disegnini sui calzini» rispose ovvia Caterina, indicando con l’indice in basso, verso le scarpe.
«Ciao Caterina» salutò Giulia prima di bloccarsi a guardarla. «Ma come ti sei vestita?» chiese poi, facendo scoppiare a ridere anche Andrea, Maurizio e Cristina che l’avevano seguita.
Il professor Felice arrivò in classe un quarto d’ora dopo, giustificando il suo ritardo dicendo che aveva fatto l’appello ad un’altra classe ma, in realtà, aveva ancora fra le mani un pacchetto di sigarette e un accendino blu scuro.
«Cominciate a lavorare» disse il professore sedendosi ed iniziando a sfogliare il Registro.
«Maurizio, ti posso fare il ritratto?» chiese la voce straordinariamente lenta e acuta di Noemi, in fondo all’aula.
«Oddio…» biascicò il Donati in risposta, scatenando le risate nei suoi cinque amici.
Il resto delle ore di scuola fu contornato da battute, risate e sgridate da parte dei professori e, una volta tornati a casa, i gemelli si presero la briga di contattare di nuovo gli altri amici per invitarli a passare una serata a casa loro, approfittando del fatto che i loro genitori sarebbero andati a cena fuori.
«Dovevo mettere a posto la mia stanza…» si lamentò Cristina, parlando a telefono con Federica da circa due ore.
«Fallo fare a tua sorella» rispose lei.
«Perché? Maurizio ti sistema la stanza?»
«No. Non si sistema la sua, perché dovrebbe farlo con la mia?»
«E allora cosa dici…»
«Che tu e tua sorella avete la camera insieme!»
«Sì ma sono le cose mie che sono in disordine. Senti un po’ ma che ti ha chiesto, oggi, Noemi ad architettura?»domandò Cristina, cambiando discorso e già ridacchiando sotto i baffi.
«Hai visto che ha chiesto a Mau di aiutarla a fare il cerchio in prospettiva e lui le ha detto che non era capace? Il che è, effettivamente, la realtà! Comunque poi ha chiamato me per lo stesso motivo e io le ho detto che visto che aveva sette l’anno scorso poteva arrangiarsi da sola… Tutto qui. Non sono stata nemmeno troppo crudele» raccontò Federica.
«Andrea e Caterina hanno riso per tutto il resto dell’ora!» fece l’altra. «Ora stacco. Ci vediamo fra un’oretta» salutò poi, riagganciando la cornetta.
Due ore dopo erano tutti e sei davanti al televisore a guardare un film.
 «Ma solo io ho fame?» chiese Giulia.
«Anche io» concordarono Federica e Cristina in coro prima di lanciarsi un'occhiata storta a vicenda.
«Pizza?» propose Caterina.
Maurizio prese il telefono e compose il numero che Andrea gli dettava, leggendolo da un foglietto attaccato ad un quadro accanto a pareti tappezzate di poster con Sirius Black: la stanza di Federica.
«Pronto? Pizzeria da Cristofer» rispose una voce dall’altra parte della cornetta.
Ad un tratto il pavimento sembrò scivolare in un buco comparso misteriosamente al centro della stanza, l'arancio scuro delle pareti venne risucchiato dal nero e i sei ragazzi gridarono prima che tutto diventasse buio.


Ecco a voi il primo vero capitolo :D
Alla prossima,
Win :D

1. Prologo

«Ma solo io ho fame?» chiese Giulia.
«Anche io» concordarono Federica e Cristina in coro prima di lanciarsi un'occhiata storta a vicenda.
«Pizza?» propose Caterina.
Maurizio prese il telefono e compose il numero che Andrea gli dettava, leggendolo da un foglietto attaccato ad un quadro in una stanza dove le pareti erano tappezzate di poster con Sirius Black: la stanza di Federica.
«Pronto? Pizzeria da Cristofer» rispose una voce dall’altra parte della cornetta.
Ad un tratto il pavimento sembrò scivolare in un buco comparso misteriosamente al centro della stanza, l'arancio scuro delle pareti venne risucchiato dal nero e i sei ragazzi gridarono prima che tutto diventasse buio.



Bene xD
Nell'immagine del prossimo post vedrete i Free Shareholders al completo :D
Siamo Cristina, Andrea, Maurizio, Caterina, Giulia e io :3 il nome significa Liberi Azionisti e lo abbiamo scelto (idea di Caterina!) perchè un nostro professore ci chiama così :D
Questa storia ci sta facendo ridere come poche!!! XD la sto scrivendo (più o meno xp) a 4 mani con Cristina :P
Spero vi piaccia e vi strappi un sorriso su ogni sciocchezza narrata ^-^

Baci,
Win <3


martedì 6 novembre 2012


Tears

Avrebbe potuto negarlo fino allo svenimento ma dentro di lei sapeva che nemmeno il Babbano più sciocco le avrebbe creduto.
Poteva ripetersi a gran voce, in solitudine, che non era certo colpa sua se il suo primogenito era venuto su così.
Eppure più lo guardava più si sentiva sprofondare dietro la consapevolezza di quanto lui le somigliasse.
Gli occhi grandi e capaci di essere rassicuranti e, un attimo dopo, di intimidire chiunque, di un grigio ghiaccio che se osservato da vicino pareva cambiare le sfumature di azzurro chiaro qua e la in un nero profondo, scuro come la pece.
Il naso diritto, le labbra carnose e perfette, un piccolo neo poco sotto l’occhio destro e il tutto su un viso delicato e duro al tempo stesso, incorniciato da capelli corvini lunghi fino a sfiorare le spalle larghe.
Il suo volto era pura contraddizione.
Bellissimo: meglio non sarebbe potuto venite, il suo Sirius, ma così tremendamente testardo e ribelle da metterle addosso la voglia di strappargli quella luce dagli occhi e quel sorrisetto sbruffone sull’angolo del labbro inferiore.
Sirius era capace di martoriarle gli impulsi più affabili ancor prima che questi avessero il tempo di accarezzarle l’animo.
Ma non era stato sempre così.
Ricordava la prima volta che lo aveva preso fra le braccia, come quella creaturina fosse riuscita ad accendere in lei un amore indescrivibile.
Non avrebbe mai pensato di poter vedere quel sentimento affievolirsi a tal modo, scivolare via tra le sue dita, sbiadire dietro una rabbia troppo accesa per poter essere accantonata. Non svanire del tutto: quello sarebbe stato impossibile, ma venire oscurato dal’odio per ogni suo sbaglio e per l’orgoglio al quale non voleva cedere per dare spazio ai suoi capricci – che poi capricci non erano!
Tutto aveva pensato, Warburga, meno che a vederlo così forte e capace di fare le scelte più difficili senza contare su nessuno.
Sirius l’aveva sfidata con lo sguardo quella vigilia di Natale, dopo una delle più violente litigate.
Quando lei lo aveva visto passare per il corridoio con il suo baule e con l’orgoglio e la rabbia che gli dipingevano una maschera rappresa sul volto ancora da bambino ma che l’aveva guardata con occhi da ragazzo più grande.
Quindici anni e poco sale nella zucca, si era detta la signora Black. Lo aveva chiamato per nome e gli aveva chiesto, burbera, che intenzioni aveva.
Il Grifondoro aveva risposto in malo modo e Walburga gli aveva tirato uno schiaffo in piena guancia.
Aveva visto la carnagione chiara arrossarsi e lacrime trattenute lucidare gli occhi del suo primogenito.
Si aspettava il solito scoppio di urla, qualcosa con la quale sarebbe stata più o meno in grado di cavarsela, non vederlo voltarsi e camminare spedito fino alla porta.
«Se esci da questa casa, Sirius, giuro che dimenticherò per sempre di aver avuto un altro figlio al di fuori di Regulus. La pagherai cara, Sirius.» disse sottovoce mentre suo figlio era immobile con la maniglia del portone già sotto il palmo della mano.
Non credeva che lo avrebbe fatto, eppure Sirius aveva spinto con forza il pomello a forma di serpente verso il basso ed era uscito di casa sbattendosi la porta alle spalle.
L’unica cosa che era riuscito a pensare mentre sua madre gridava la sua rabbia ed incendiava l’immagine del primogenito dall'albero genealogico della sua famiglia, incapace di reprimere le lacrime, era che in nessun posto, in nessun tempo mai, una madre avrebbe dovuto perdere l’amore per il figlio a quel modo.
E alla fine anche Sirius venne travolto dalle stesse lacrime della madre, ira e dolore, ed esse gli erano scivolate lungo le guance calde, lasciando una scia umida che si congelava al contatto con l’aria pungente che segue le nevicate. Ma quel freddo non lo uccideva come ciò che provava…
Dentro di lui sapeva che per sempre avrebbe strutto l’affetto materno che gli era stato negato.

Personalmente credo che l'amore di una madre verso il proprio figlio sia una cosa che non può che non essere spontanea, qualcosa che sicuramente non può essere accantonata per nessuna ragione...
Mi sono sempre chiesta cosa pensasse Walburga Black e credo che nonostante tutto anche lei abbia sofferto...
Ciò non significa che sono dalla sua parte.. Non la sopporto! Ma mi è venuta questa fic su di lei e non ho potuto far a meno di darle un po' di sentimenti...
Mercoledì 31 Ottobre è nata mia cugina - si chiama Anita - e l'ho amata alla follia fin dal primo istante che l'ho vista e credo che quello che prova una madre è più del doppio o del triplo quindi, qualsiasi cosa abbia fatto cambiare idea a Walburga riguardo questo amore, prima c'era.
Comunque spero che la storia vi sia piaciuta ^^
Buona serata e buona notte a tutti :)

sabato 3 novembre 2012

Scusate per l'attesa ma avrei voluto scrivere un capitolo intermedio tra questo e lo scorso ma non ci sono riuscita per mancanza di ispirazione e, soprattutto, di tempo!
Questo, a dir il vero, è l'ovvietà fatta storia: nessun colpo di scena, niente di speciale, però non è  bruttissimissimo xP
Vabbè... Spero di ricevere qualche vostro commento in più, anche per dirmi cosa secondo voi devo migliorare o cambiare radicalmente ^^
Buona Lettura

12. Insulti

Nei tre giorni successivi alla morte di Mary, Marlene rifiutò di parlare con Sirius diverse volte. Al San Mungo non dovette rispondere a troppe domande e il suo umore non accennava minimamente a migliorare. Era arrabbiata, triste, dispiaciuta e tutte le sue emozioni le vorticavano nello stomaco dandole quel senso di nausea che, puntualmente, le faceva passare la fama.
Il funerale di Mary, il mercoledì pomeriggio, fu devastante e guardare i genitori della ragazza sconvolti e affranti, non fece che peggiorare il rimorso e il dolore nel cuore della ex Corvonero.
Quel venerdì sera, al suo ritorno dal San Mungo, si sentì più stanca del solito.
Passò una buona mezz’ora nell’acqua calda e altrettanto tempo a spazzolarsi i capelli seduta davanti alla specchiera di sua mamma, nella stanza da bagno.
Posò la spazzola e si accucciò sulla superficie piana in legno chiaro, poggiando il viso sulle braccia conserte.
L’ultima volta che aveva visto Sirius era stata al funerale quando gli aveva di nuovo urlato che non avrebbe mai voluto avere a che fare con lui.
Una parte di lei le aveva fatto credere che prima o poi le avrebbe scritto, ma quel momento non era ancora arrivato e lei avrebbe tanto voluto gridare, gridare con tutto il fiato che aveva in corpo e liberarsi dalla nausea che la invadeva.
Si alzò con cautela, silenziosa come era stata da quando Mary era andata via, ed uscì dal bagno.
Nessuna lettera sulla scrivania, né sul letto – dove, invece, era comodamente acciambellato Brioche – né da nessun’altra parte. E dire che aveva lasciato la portafinestra aperta apposta per un gufo. L’unica cosa che era entrata, invece, era l’aria fredda della sera di quel ventisei Settembre.
Chiuse il vetro e si legò i capelli in una coda alta e decisamente sfatta.
E se Sirius non la cercava, pensò, allora lo avrebbe cercato lei.
Infilò le prime scarpe che trovò in fondo all’armadio e recuperò tutte le sue cose per infilarle nella borsa e scendere le scale frettolosamente.
«Vai da Sirius?» le chiese Summer, vedendola scendere.
«Sì. Se Matt ti chiede digli di stare tranquillo e che, a costo di tirarlo per le orecchie, mi faccio riaccompagnare.» rispose Marlene, mogia.
«D’accordo.» sorrise.
Marlene continuò per la sua strada camminando lenta fino a fuori dal cancello dove si Smaterializzò.
Sirius le puntava la bacchetta, in piedi di fronte a lei nel suo salone.
«Chiederti di avvertire prima di piombare nel salone di casa mia è troppo, McKinnon?» si lamentò il Black, rimettendo via la bacchetta.
«Perché non mi hai più cercata?» domandò Marlene, alterata.
«Mi hai detto che non volevi più vedermi.» rispose Sirius, secco.
«Questa è l’ennesima prova di quanto tu sia stupido.»
«Se sei venuta qui per offendere puoi anche tornartene a casa.»
«Non ti azzardare a dirmi quello che devo fare, Black!» gridò la strega, avvicinandosi a lui. Sirius sorrise sghembo.
«Che c’è? Non eri in grado di stare senza di me e sei venuta a rimarcare il territorio?» la stuzzicò.
«Tu non sei niente per me.»
«E allora perché sei qui?» sentì la rabbia che le ribolliva dentro da giorni, esploderle dentro. Lo spinse contro una parete ed incollò le sue labbra a quelle di lui. L’arma più forte che aveva contro Sirius era dirgli quello che provava attraverso il contatto fisico.
Era un bacio diverso da quelli dolci che si erano scambiati. Era uno di quelli che si davano solo quando avrebbero tanto voluto schiantarsi a vicenda, piuttosto che darselo davvero.
E dopo un bacio non bastò più per quella guerra troppo grande per entrambi.
Sirius spostò Marlene senza smettere di baciarla ed invertì le posizioni, lasciando che fosse lei ad essere intrappolata tra il muro e il suo corpo.
Al Black piaceva particolarmente quella posizione, era chiaro!
Fece pressione sulle sue cosce e, pochi attimi dopo, la strega gli era in braccio.
«Sei una persona viscida!» biascicò tra un bacio e l’altro.
«Immagino sia questo il motivo per il quale mi stai avvinghiata, no?» la prese in giro lui, spingendola maggiormente contro la parete e lasciandole una scia di baci infuocati lungo il collo.
«Ti odio.»
«Lo vedo.»
Quando raggiunsero la camera da letto, il Black la lasciò cadere tra le lenzuola e vi si mise sopra reggendosi sui gomiti per non pesarle addosso.
«Un perfido bastardo e figlio di una megera.»
«Mia madre sarebbe felicissima di sentirtelo dire.»
Marlene lo spinse di nuovo, facendo leva sul suo petto per mettersi a cavalcioni su a lui, sfilandogli la maglia con foga.
«È tutta colpa tua.» disse, poi.
Sirius alzò il busto così da poter arrivare al viso della strega, troppo lontano del suo.
«Adesso schhh.» bisbigliò intrappolando nuovamente le sue labbra e portandola, con più dolcezza, nuovamente sotto di sé. Le sfiorò le labbra con la lingua e approfittò dei suo brividi per sbottonare la camicetta.
«Vorrei picchiarti!» gli sussurrò in un orecchio.
«Non ne saresti capace.» in tutta risposta Marlene si preoccupò di graffiargli con le unghie la spalla sinistra – su quella destra c’era il tatuaggio che avevano fatto assieme.
Il Black non fece una piega, sfilandole le maniche della camicia e posando alcuni baci sulle spalle nude.
«Avresti dovuto dirmelo.» insistette la strega, socchiudendo gli occhi.
«Non sei credibile a fare l’arrabbiata in questo momento, Marlene. Lasciatelo dire.»
«Non mi piacciono i segreti.»
«Rettifica: non ti piacciono i segreti degl’altri. Ognuno ha i suoi.»
«Tu ne hai troppi.»
«Tu mi nascondi le cose più banali!» affermò il Black, allontanandosi dal suo viso.
«E tu quelle serie! Mary era una mia amica, Sirius! È colpa tua se se n’è andata senza che io avessi nemmeno il tempo di dirle che non era importante…»
«Sai che non sono stato io ad ucciderla, vero?» Marlene annuì ed una lacrima solitaria scese e le rigò la guancia.
«Avresti dovuto dirmelo.» precisò, poi.
«Adesso basta, Lene.» sussurrò lui, dandole un bacio sulla guancia, lì dove si era fermata la lacrima.

Quando riaprì gli occhi la sveglia Babbana sul comodino segnava le due e trentasette. Si passò una mano tra i capelli e cercò di voltarsi verso Sirius senza aggrovigliare maggiormente la coperta candida.
Sospirò. Scostò silenziosamente il lenzuolo e spinse i piedi a terra, rabbrividendo al contatto con il freddo della mattonella.
Prese la maglia nera a maniche lunghe che aveva sfilato al ragazzo la sera prima e la indossò, strofinandosi le braccia per riscaldarsi.
Camminò svelta lungo il corridoio senza smettere mai di stringere la bacchetta e di sussultare al minimo rumore e, arrivata in salone, prese la sua borsa da terra e vi frugò all’interno con l’intento di fumare una sigaretta.
Tornata in camera da letto optò per la finestra del bagno della stanza, vicino alla tazza del gabinetto, in grado di tenere d’occhio il Black dalla porta aperta.
Si sedette sulla tavoletta e aspirò la prima folata di fumo, socchiudendo gli occhi al piacevole pizzicorino che sentì in gola.
Alla fine aveva ceduto, si rimproverò. Non era stata capace di far capire a Sirius quanto era stata male ma non aveva più tempo.
Una qualunque delle persone a lei care sarebbe potuta scomparire da un momento all’altro e doveva essere sicura di non doverle lasciar andare in collera con loro, com’era successo con Mary.
Rabbrividì ed aspirò nuovamente.
Si voltò di scatto quando avvertì lo sfregarsi delle lenzuola.
Sirius si era svegliato e la guardava, un po’ intontito.
Marlene tirò ancora e si buttò di nuovo i capelli indietro. Mise la sigaretta fuori e fece cadere la cenere dall’estremità infuocata. Un ultima folata di fumo e lasciò cadere il mozzo giù. Si alzò lentamente e richiuse la finestre sotto lo sguardo attento del Black che non le aveva ancora tolto gli occhi di dosso.
Quando la strega si sdraiò nuovamente sul letto e si tirò la coperta per non soffrire il freddo, Sirius si accostò un po’ di più a lei, calando nel sonno pochi minuti dopo.
La mattina dopo Marlene si svegliò tardi. Erano le dieci e un quarto ma, visto che il suo turno al San Mungo era di pomeriggio, si voltò dall’altra parte.
Il Black non c’era e sul cuscino c’era una rosa rossa ed un biglietto.
La strega si allungò e lo prese in mano.

Mi dispiace.

P.S.: Ricordati tutto questo perché non succederà mai più.
Sono dovuto uscire, resta quanto vuoi.
Ho messo gli incantesimi di protezione stamattina, stai tranquilla!

Sirius

Le scuse scritte in un biglietto. Bé, poteva ritenersi fortunata. Non era certo da lui chiedere scusa e se si aspettava di sentirselo dire in faccia, si sbagliava di grosso.
Ma la rosa, infondo, era già una bella vittoria.

Brutta notizia: mi sono persa alcuni capitoli :S spero di riuscire a provvedere il prima possibile...
Ho un sacco di problemi con l'HTML, se non ve ne siete accorti :S
Alla prossima ^^